venerdì 21 agosto 2020

Dove l'Ipercubo riprende a volare #1


Non è una novità, ma la realtà mi ribadisce sempre come le fiabe non esistano: sono costrutti più o meno edificanti per darci prospettive, ma la vita sa essere ben altro, mi spiace contraddire chi, giustamente, affermi il contrario. La sto prendendo larga: le cose non sono andate come sognavo, o come speravo, un po' come immaginavo però sì.

Non c'è traccia di quella tranquillità che sognavo di raggiungere in questa pausa così raffazzonata. Non c'è la fierezza di superare paure, la soddisfazione di aver intrapreso nuovi (o ripreso vecchi) cammini, la pace dell'assenza di obblighi, l'ingresso in scena di nuovi stimoli. Ci sono invece, immancabili, ansia, frustrazione, ipocondria e smarrimento. Il tempo che scorre, sempre.

"Perché non ho fatto questo prima...avrei dovuto...dovrei farlo ora? Domani? Dovrei farlo? Lo faccio...ecco, non importava alla fine..."

Ho però sempre difficoltà a rispondere a certe domande intrinsecamente esistenziali, e credo a queste aggiungerò la definizione di tranquillità. Cosa mi renderebbe tranquillo? L'assenza delle sensazioni di cui sopra? O la loro accettazione? Oppure ancora, indipendentemente da esse, la realizzazione di cose pianificate, il provare nuove strade, depennare voci dalla lavagnetta, il dare il massimo? Una ricorsiva pazienza per i miei infiniti dubbi è essa stessa la fonte di tale tranquillità? Si può essere tranquilli senza concedersi la pazienza per esserlo? Non farmi queste domande è l'obiettivo?

Tutto sommato, credo ancora una volta, e ormai sto diventando stucchevole nel ribadire, in testo ed in testa, sforzandomi di derivarne fiducia, il medesimo concetto: questi dubbi sono legittimi ed alimentati da una inesauribile fonte di malessere e circostanze; ciò nonostante, punto e virgola: non negano i miei sforzi, i miei traguardi, le mie piccole gioie. Non negano l'amore che sto cercando di dare a me stesso ad ogni istante, per superare questa fase di vita nel modo più costruttivo possibile.

E allora concediamoci di non aver salvato il mondo per un giorno, o per due settimane. O per sempre? Che alla fine, prima di poter maledire il tempo per un brutto raccolto, è necessario aver seminato e pazientato. Anche solo fino a domani, concediamocelo.

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